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TRADIZIONI DEL PASSATO

“Usanze Venete”

IL FIDANZAMENTO

Rare e non facili erano in passato le occasioni di incontro tra giovani, sia per il rigoroso e accentuato distacco fra uomini e donne, sia per il lavoro assiduo e la vita molto più isolata, che concedevano pochissime possibilità di rapporti.

I luoghi e i momenti in cui i giovani potevano in qualche modo ritrovarsi erano soprattutto la chiesa, dove si andava per la messa e per le altre funzioni (ma i giovani vi andavano anche per vedere le tose), erano i filò o l’andare in òpra, dove gli incontri erano tuttavia limitati e, occasione unica, la sagra, quando approfittando della generale confusione ed euforia, si poteva stare assieme e parlare, senza far nascere pettegolezzi e dicerie.

Molte le usanze che accompagnavano questa importante fase del ciclo della vita. Di generazione in generazione esse venivano tramandate, svelando quanto la collettività partecipasse un tempo alle vicende che portavano i giovani a costituire nuovi nuclei familiari.

Per i giovani avevano grande rilievo certi rituali per predire chi sarebbe stato il futuro marito o la futura sposa. La notte di San Giovanni pare fosse densa di proprietà prodigiose: le ragazze si recavano nei prati per bagnarsi nude nella rugiada, per accrescere la loro bellezza e desiderabilità. In tempi più recenti, il rito si limitava all’esposizione sulla finestra di un recipiente per raccogliere la rugiada con cui lavarsi il viso al mattino. Diffuso era l’uso di lasciar fuori di casa una bottiglia con della chiara d’uovo sbattuta, per vedere la mattina successiva i pronostici sul futuro sposo: dalla forma assunta dall’albume si sarebbe capito il mestiere del fidanzato (un pescatore se si fosse vista una rete, un falegname se si fosse visto un banco, un uomo istruito se si fosse vista una penna…).

Il cielo stellato era un’altra fonte di conoscenza sull’avverarsi dei desideri. Per nove sere si contavano nove stelle e l’ultima notte si dormiva con uno specchio sotto il cuscino: la persona che si sarebbe sposata sarebbe apparsa in sogno. Analogamente, guardando la luna per tre sere di seguito cantando la seguente filastrocca:

Luna, lunarìa

tuto ‘l mondo vorìa

tuto ‘l mondo fa desìo

fame savèr qual sia me marìo

Altre volte si interrogavano il cuculo, il gufo o la civetta, recitando:

Cuco de la Badia!

Quanti ani me deto

prima de andar via?

Contando il numero dei gridi degli uccelli si sarebbero saputi gli anni di attesa per il matrimonio.

Numerose erano fra i giovani in cerca di moglie o marito, anche le credenze e le superstizioni, ricordate ormai più per scaramanzia o gioco.

Si credeva, ad esempio, che l’oleandro impedisse i matrimoni quando cresceva vicino a casa; nel bicchiere già colmo dell’ospite non si doveva aggiungere vino perché ne avrebbe impedito il matrimonio; e non si doveva spazzare sui piedi di una ragazza in età da marito. La fanciulla che mangiando del pane faceva cadere delle briciole avrebbe sposato un siòr o un poaréto a seconda delle zone in cui la credenza era diffusa; mentre nel padovano si sfogliava una margherita dicendo casa e palazo alternativamente ad ogni petalo: se l’ultimo petalo era casa il futuro sposo sarebbe stato povero, se palazo sarebbe stato ricco. Ancora: colei che facendo il bucato si bagnava le vesti avrebbe sposato una persona dedita all’alcool.

Quando un giovane aveva deciso seriamente di far la corte ad una ragazza, si recava dai suoi genitori a chiedere il consenso di “parlarle”. Una volta ottenutolo, poteva recarsi in casa di lei in giorni che erano per tradizione rigorosamente fissi: prima solo il giovedì, e poi anche il martedì, il sabato e la domenica. Le visite avvenivano comunque sempre in presenza di una terza persona, fosse anche un fratellino o una sorellina della ragazza, necessaria per “farghe ciàro”.

I fidanzamenti tra giovani di paesi diversi erano piuttosto rari. Ciò era dovuto, oltre che alla difficoltà di conoscere prima e di frequentare poi persone estranee al proprio ambiente, anche all’ostilità che i giovani di ogni paese avevano nei confronti di chi veniva da fuori a cercare le tòse delle loro contrade, come se facessero un furto di un loro bene. Talora i giovani del luogo organizzavano vere e proprie “cacce” contro i pretendenti che venivano da fuori.

Dopo un periodo non lungo di fidanzamento (un anno e mezzo al massimo: gnènte brodi lunghi!), i giovani si preparavano per le nozze.

LA DOTE

la roba de la dota

la va che la trota

Momento importante era la “cerimonia” di presentazione della dote e del suo trasporto a casa del futuro sposo. L’atto assumeva una certa solennità: inizialmente veniva fatta una stima del corredo, scritta e firmata dallo sposo e dal padre della sposa (il valore sarebbe poi stato scontato nell’eredità). La spartizione delle doti all’interno di una famiglia era spesso compiuta da un esperto del paese che sapeva dividere equamente il corredo fra le ragazze da “dotare”. Le doti potevano essere divise a numaro, cioè ad uguale numero di capi tra le figlie, o a stima, cioè ad identico valore totale anche se il numero dei capi era diverso.

Una ragazza cominciava a farsi la dòta ancor prima di trovarsi il moròso, usufruendo di tutti i soldi che riusciva a mettersi da parte.

Una dòta tipo poteva essere costituita da 4-6 lenzuola, di solito di canapa, 8 federe, 5-6 asciugamani, 2 coperte di lana, un copriletto, e dai vestiti e dalla biancheria personale; oltre a questo, non mancava quasi mai una tovaglia ricamata da mettere sotto il comò in camera per quando veniva portato “il Signore” (il Viatico), a un ammalato in casa.

In alcune zone comprendeva anche il mobilio della camera matrimoniale, oggetti per la casa o altro ancora, a seconda delle zone.

L’ultimo regalo di dote era quello fatto dal testimone o compare d’anelo: un anello lavorato e con gemma, appunto.

Dopo aver stilato la carta de la dota, il corredo veniva lasciato in mostra per dare agli amici e ai parenti l’occasione di ammirare e di “commentare”. Il tutto poi era riposto in bauli e trasportato su di un carro trainato da buoi o da un cavallo bardato a festa, fra ali di compaesani pronti a festeggiare i fidanzati. Un tono di festa e di richiamo era dato dalla coltre nuziale, il tipico covertone o coverturo che ricopriva la dota sul carro: una coperta ricamata a mano, su cui veniva sistemato un guanciale ornato di nastri colorati.

Nei paesi del massiccio euganeo, era la fidanzata, accompagnata dal fratello o, in mancanza di questi, da una sorella, a portare la dota a casa dei genitori del futuro marito. Il carro era trainato da buoi ornati a festa di rossi cordoni di lana (zoncole) annodati tra le corna. Davanti sventolava la “bandiera”, costituita da due fazzoletti, uno rosso, uno bianco, legati in cima a un bastoncello. Questi se li portava via il contadino che guidava i buoi.

Al sacerdote che celebrava le nozze si donava un fazzoletto da tabacco. Come simbolo della sposa prolifica e solerte, veniva legato un gallo sul timone del carro. Vale la pena di ricordare che in questa zona del padovano i colori principali usati per tingere le tele nei corredi delle spose erano il rosso il turchino; colori legati alla Serenissima Repubblica di Venezia che qui dominò sino alla fine del ‘700.

Diamo l’esempio di un elenco dotale redatto a Schio negli ultimi decenni del 1800:

N. 1 Cocietta (letto) nogara L. 40
N. 1 Caldiero da liscia L. 16,90
N. 1 Detto piccolo usato L. 5,95
N. 1 Secchio vecchio L. 7,50
N. 1 Paja lenzuola canapa L. 20
N. 1 Bronzo L. 11
N. 3 Camicie di lino L. 12
N. 4 Dette canape e cotone L. 13
N. 2 Dette usate L. 3
N. 2 Bustine usate L. 2
N. 1 Comesso cotone L. 3
N. 3 Cottole in sorte L. 15
N. 1 Vita flanella L. 5
N. 3 Abiti lana in sorte L. 24
N. 1 Detto nero L. 8
N. 1 Detto L. 24
N. 1 Veleta L. 1
N. 1 Sciallo L. 10
N. 2 Fazzoletti lana L. 2
N. 1 Detto crep. L. 5
N.10 Detto da sudore L. 4,50
N. 8 Paja calze L. 12
N. 1 Coperta operata L. 36,50
N. 1 Materasso a penna L. 59,60
N. 1 Armadio noce L. 19
N. 1 Pajo buccole oro L. 9
N. 1 Pontapetto oro L. 19

LA VIGILIA DI NOZZE

I giovani che avevano deciso di sposarsi facevano le pubblicazioni e venivano detti novìssi. Nel giorno del novissàjo si faceva festa andando a pranzo dalla moròsa, con distribuzione di confetti ai parenti stretti: era la cosiddetta offerta delle consolasiòn. Da quel giorno le visite – ora in casa della prossima sposa, ora in casa del prossimo sposo – si susseguivano.

Particolarmente interessante l’usanza in base alla quale, la sera della “domanda”, il padre della futura sposa distribuiva gallina lessa agli invitati, ad augurio di fertilità e di gioie. L’ordine di distribuzione era, di preferenza, prima al padre dello sposo, poi allo sposo, alla madre della sposa e alla sposa stessa. La cerimonia che sanciva il fidanzamento ufficiale, era detta sbregar la cioca: perché il rituale prevedeva che la gallina venisse strappata a pezzi con le mani.

I fidanzati erano soliti scambiarsi dei doni. Il dono, nei tempi passati, assumeva spesso il significato di “pegno” da parte del fidanzato, e consisteva nell’anello d’oro o in una collana di filigrana d’oro; in alcune località, la fidanzata ricambiava regalando un fazzoletto di seta.

La scelta del giorno per il matrimonio aveva delle regole: doveva essere il giorno più propizio della settimana, escludendo, a seconda delle zone, il lunedì (perché se no se diventa mati), il martedì ( perché è martirio), il giovedì (perché el zioba xe ‘l giorno che le strighe se parecia per andar a far strighezzi), il venerdì (vènare curto termine). In genere si trattava del sabato mattina.

La domenica precedente le nozze, i genitori dello sposo pranzavano a casa della sposa e nei giorni successivi i giovani promessi passavano per le case di parenti, amici e conoscenti per portare i confetti e invitarli a nozze. Intanto arrivavano i regali di cui si faceva una mostra, nella quale la promessa sposa esponeva anche il proprio corredo e in particolare quello ricamato personalmente, che tutti andavano a visitare.

In alcune zone, due o tre giorni prima del matrimonio, era consuetudine far benedire dal prete il letto matrimoniale.

(notizie tratte da: Civiltà Rurale di una Valle Veneta – La Val Leogra – Accademia Olimpica Vicenza 1976 / Vita in Veneto – Walk Over Editrice / La Difesa del Popolo – Speciale Sposi / C’era una Volta – Maria Clotilde Mosconi – Edizioni Panda / Fin sera dura el Dì – Giovanni Azzolin)

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